La gondola, sogno sulla Laguna

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Quando si tratta di evocare Venezia, poche cose riescono a colpire l’immaginario del mondo – di tutto il mondo – come la gondola. La gondola è un elemento talmente versatile da assumere ogni volta che occorre significati diversi, tutti irresistibilmente attraenti: amore, congiura, avvicinamento, fuga. 

Sotto l’antica cabina rimovibile (il felze, oggi inspiegabilmente in disuso) si sono consumate passioni travolgenti e lussuriose e si sono levati i più casti sospiri di desiderio; sono stati progettati i più grossolani disegni di vendetta e concepite le più fini trame di rivolta. Vi sono decine di canzoni composte in onore della gondola, da chiunque, in ogni tempo. Giacomo Casanova fugge in gondola, dopo essere volato in canale dal tetto delle Prigioni. Wolfgang Goethe vi si commuove, nel sentire i rimandi dei gondolieri che da una imbarcazione all’altra cantano le strofe di Tasso e Ariosto. Il nobile veneziano Girolamo Zulian vi dimentica un rotolo di carte compromettenti e a causa della sua sbadataggine una loggia massonica viene scoperta e smantellata.

Bianca Cappello ne usa una la notte del 28 novembre 1563, per la sua improvvisata fuga d’amore, che qualche anno più tardi la porterà a divenire rocambolescamente granduchessa di Toscana: «Accompagnata dal servo mi avvio all’approdo: qui trovo Pietro che mi conduce alla porta del Canal, e mi fa entrare in gondola, che parte all’istante. Giungevamo presso San Giorgio Maggiore quando l’orologio della Piazza suona le nove ore». Charles De Brosses, consigliere del Parlamento di Borgogna e successivamente presidente, nelle sue lettere scritte nel corso di un viaggio effettuato tra il 1739 e il 1740, ne fornisce alcune suggestioni sull’utilizzo: «È domani, pur troppo, che mi toccherà di lasciare le mie care gondole… Quel che è peggio mi toccherà di separarmi dalle mie care Ancilla, Camilla, Faustola, Zulietta, Angela, Catina, Spina, Agatina e da centomila altre cose in A, le une più carine delle altre». William Shakespeare usa pochissime parole veneziane, all’interno delle sue opere ambientate nella Serenissima: Rialto, doge... ma soprattutto gondola e gondoliere.

Se il leone alato è il simbolo riconosciuto della città (una sorta di “logo” ufficiale), la gondola ne è dunque divenuto l’emblema più popolare, a cominciare dalla forma, dal colore, fino all’inconfondibile ferro di prua i cui sei denti, posti secondo la tradizione a rappresentare i Sestieri della città, sono in realtà una scelta numerica recente, che ha poco più di cinquant’anni. Quando si parla di gondola, infine, non si può non parlare dei gondolieri: imbarcazione e conducente sono un tutt’uno, il peso dell’uomo serve a controbilanciare la naturale inclinazione della barca. Pensate un qualsiasi personaggio che sia venuto almeno una volta a Venezia: quasi di sicuro esiste qualche immagine di lui – o di lei – a bordo di una gondola. Anche personaggi letterari, perfino dei fumetti. Questi ultimi, anzi, spesso non si limitano a salirvi: ci vogano proprio. Batman combatte in gondola; Topolino, Pippo e Paperino ne sono degli habitué. Qualcosa vorrà pur dire, no?