Quei ponti invisibili

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Il Canal Grande è attraversato oggi da quattro ponti, tutti famosi nel mondo perché immortalati da milioni di fotografie e, nel tempo, da dipinti anche famosi e da stampe popolari. In realtà dovremmo dire che oggi i ponti non sono soltanto quattro, ma… dieci.

Il fatto che ce ne sia qualcuno per così dire invisibile non fa che accrescere il fascino della città, con la sua originale forma urbis e, di conseguenza, con il tipico sistema di trasporti dove i ponti agiscono come cerniere. 

Quelli che non si vedono, però, sono una metafora, un guizzo di autentica poesia. Si tratta invero dei traghetti, queste postazioni di uso pubblico, questo articolato servizio di trasporto urbano antichissimo e originale gestito per tradizione dai gondolieri. 

Nella città galleggiante, la gondola, autentico monumento vagante fra le opere architettoniche fissate sul caranto, è in apparenza esile nella sua forma sinuosa, forse anche “povera” perché priva dei colori esibiti nelle “sorelle” folleggianti nelle regate: eppure questo grazioso guscio nero e spoglio si presta a svolgere un “lavoro”, umile fin che si vuole ma utile, forse un po’ folcloristico è caro ai veneziani doc, quelli che andrebbero a piedi sulle acque se potessero. 

Le gondole che congiungono le rive del Canalazzo a Santa Sofia, Carbon/Municipio, San Tomà, Santa Maria del Giglio, sono, sì, spoglie di orpelli, svestite degli ori che incantano il forestiero, ma compensano la perdita dell’aura lussuosa con l’utilità della loro esistenza, poiché garantiscono il collegamento fra due sponde, un’attività che potremmo considerare perfino simbolica. 

E, poi, che dire della forza motrice che le fa andare? È una forza umana, ancora oggi manuale e faticosa nell’era sempre più tecnologica e robotizzata: uno strumento della convivenza civile legata alle radici liquide di una Storia straordinaria.

La curiosità del forestiero va nutrita, a questo punto, con qualche particolare: per esempio, si deve notare che gli approdi non sono organizzati in modo uniforme, cioè costruiti in riva secondo uno schema calato dall’alto, ma sono spontanei e originali. 

Va bene l’ordine dogale, la disciplina che diventa obbedienza, la pratica quotidiana, e, soprattutto, l’orgoglio (gondolieri si nasce) per il sito personalizzato?

E che dire del loro arredo? Penso all’aspetto forse meno appariscente, ma forte nella loro presenza secolare, cioè le immagini sacre: la fede popolare le riteneva necessarie al completamento del servizio. Ce n’è una, storica, conservata al Museo Correr: è la Madonna dei gondolieri proveniente da un traghetto dismesso, quello fra San Stae e la Maddalena a Cannaregio: è un altarolo, cioè un piccolo altare votivo, di epoca rinascimentale, un artistico “segno” di protezione non solo dei traghettatori ma pure dei traghettati.